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24 Aprile 2020

L’ARCIVESCOVO: PENSANDO AI DEFUNTI DI QUESTA PANDEMIA

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Partecipazione al suffragio per i morti senza celebrazioni esequiali –
Parole per condividere lo strazio dei gesti mancati
Parole per condividere la consolazione della comunione possibile
1. Abbiamo bisogno di gesti.
Abbiamo bisogno di gesti, non solo di corpi: i corpi sono quello che resta di persone dopo che
l’anima, la vita è stata trasfigurata in una dimensione che non sappiamo; i corpi sono la materia che
ha i tratti delle persone ma nasconde ormai le persone e il loro mistero; i corpi sono quel composto
di chimica, di materiali, di componenti disponibili per degenerare e per diventare altro.
Noi abbiamo bisogno di gesti, cioè di relazioni, di abbracci, di carezze, di sguardi e di parole.
Abbiamo bisogno di gesti, di stare vicini anche senza dire niente, di guardare negli occhi anche
quando gli occhi sono persi, di avvicinarci per dire le parole che non abbiamo mai detto, per
piangere le lacrime che non abbiamo mai pianto, per offrire e chiedere il perdono di cui noi soli
conosciamo il perché, per dire una preghiera tenendosi per mano.
Abbiamo bisogno di gesti, di segni, che restano indecifrabili per gli altri, che dicono dell’amore
antico, del convivere per anni, invecchiando insieme, dell’abitudine a interpretare quello che agita
l’anima anche se il volto è di pietra.
Abbiamo bisogno di gesti.
Ma i gesti sono stati impediti, sono state innalzate barriere invalicabili a rendere impossibile la
vicinanza, la minaccia spietata del contagio ha dissuaso dagli abbracci, dalle parole sussurrate
all’orecchio, dalla carezza, dal segno di croce dell’estremo congedo. I gesti sono stati impediti e noi
soffriamo lo strazio dei gesti mancati.
2. La comunione possibile.
“Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue”. Altri segni, altri corpi, altri gesti. Il pane non è
più solo pane: è cibo che trasforma i molti in un solo corpo, è gesto della consegna di sé fino al
compimento.
E noi crediamo: è realmente presente il corpo che è stato crocifisso e glorificato. È presente, ma
non è il corpo morto destinato alla decomposizione. È presente, è offerta di comunione. Poiché è
realmente presente, noi siamo realmente in comunione: noi vivi e Gesù vivo, glorificato e coloro
che sono morti, vivi in Gesù.
La nostra sensibilità, la nostra psicologia, la nostra fisicità rimangono straziate per i gesti
mancati.
La nostra fede, la nostra esperienza della vita e della morte di Gesù offrono la consolazione che
apre alla speranza: non solo il conforto palliativo delle condoglianze, non solo il gesto
compensativo di qualche supporto psicologico. La consolazione della speranza è quel dono del
corpo di Gesù nel pane che spezziamo: il vero corpo per una vera comunione.
Dunque saranno vere le parole e le confidenze, il perdono dato e ricevuto, i ricordi purificati
dalla misericordia, gli affetti consacrati dalla fedeltà e dalla dedizione. Saranno veri: i nostri morti
non sono finiti nel nulla, nell’abisso insondabile, nella perdita irrimediabile. I nostri morti vivono di
una corporeità reale e diversa. Il pane spezzato, vero corpo, ci indica la strada offerta ai credenti.
Chi mangia questo pane vivrà in eterno (Gv 6,58)