Nella mia ricerca di giovani santi mi sono imbattuto in una frase, che come giovane sacerdote mi ha fortemente incuriosito e colpito in profondità. L’articolo era intitolato: “Sono prete, ma Gian mi ha convertito!”. Un articolo che
racconta l’esperienza del rapporto di un sacerdote con un giovane ventenne perito agrario e calciatore di Cremona Gianluca Firetti, che ha reso la malattia una via per la gioia. Può un sacerdote esser convertito da un ragazzo malato? Accogliamo questa esperienza unica, facendoci aiutare da quel sacerdote, Don Marco.
«L’incontro con lui mi ha fatto solo bene. Le due esperienze, la sua di giovane che soffriva senza disperazione e la mia, di credente che tentava di capire, sono diventate una sola. Davanti alla fede di Gian mi sono sentito più volte microscopico. Lui giovane e saggio, malato con un cuore sano che riusciva ad amare tutti, sbilanciato sugli altri da ripetere, a ciascuno, per ogni piccola attenzione: «Grazie»; Gian era disarmante. Proprio come il Vangelo. Incontrarlo, ascoltarlo, pregare con lui era come sfogliare un “Vangelo aperto”. Le sue parole e le sue mani, quando mi sfioravano, il suo abbraccio Dalla cattedra del suo letto, a casa, insegnava semplicemente col suo esserci, in un silenzio pensieroso e mai triste, con la sua preghiera raccolta, i suoi occhi che “ti leggevano dentro” davanti ai quali, specchio di una vita limpida non potevi presentarti con cortecce, cappotti o maschere difensive. Non puntava il dito, non si lamentava di coloro che non andavano a trovarlo e non invidiava coloro che stavano meglio di lui.
Gian chiedeva conversione in entrata e in uscita. In entrata perché la sua presenza provocava fortemente. In uscita Gian era trasformante. Sofferente, immobile, morfina 24 su 24, a pochi giorni dalla morte sapeva augurare, raccogliendo tutte le sue forze: «Buona domenica». Gioiva per le visite dei suoi amici e diceva a ciascuno: «Mi raccomando, non sprecare la vita, fa il bravo, studia perché io farei cambio e studierei 500 pagine piuttosto di soffrire».
La sua vita era diventata un’offerta, un «sacrificio vivente, santo e gradito a Dio». Non perché Dio volesse la sua sofferenza, ma perché, come aveva detto nell’ultima domenica: «Dio mi ha posto sulle spalle una bella croce… No, è la malattia che è pesante, Dio non c’entra proprio nulla». Invece Dio c’entrava, eccome. Dio entrava e usciva da
ogni poro della sua pelle; era diventato, una fonte di energia e di luce. Per tutti, familiari, amici, preti, volontari, personale dell’ospedale, mondo sportivo, famiglie, giovani e adulti, anziani e malati. La sua casa un piccolo
porto di mare. Quando suonava il campanello: «Avanti», diceva dal divano, «il bar è sempre aperto!».
Condividere è stato il segreto della sua santità. Faceva entrare tutti in lui. Dio, anzitutto. Si apriva, si sentiva trasportato dalla preghiera e dall’amicizia di tanti, anche di chi non conosceva, ma sentiva così vicini, dentro di lui. È
riuscito, da tutti – me per primo – a estrarre il meglio perché lui è diventato il migliore, intuendo il centro e
lo scopo della vita. In fondo come disse a suo fratello Federico, noi siamo fatti per il cielo. Per sempre. Per l’eternità.
Gianluca muore all’ospedale di Cremona il 30 Gennaio 2015, lasciando al mondo una delle più belle testimonianze di fede e di fiducia in Dio. Il miracolo degli ultimi mesi della sua malattia non è stato quello della guarigione. Forse questo sarebbe stato più eclatante. Il miracolo vero è stato comprendere il “perché” di quella condizione così umanamente infelice per lui e per la sua famiglia e leggerla con gli occhi della fede. Gian è cresciuto e ha fatto crescere. Aveva fede e l’ha fatta tornare agli altri. Era uomo di comunione e desiderava che ci si amasse. E lo diceva, lo scriveva su WhatsApp, lo manifestava. A soli vent’anni ha dimostrato che si può essere abitati da Dio e dagli uomini. La sua storia parla annuncia come “croce, dolore, morte” non siano parole d’infinita tristezza, ma le porte della speranza e della vita. Gianluca è vivo, in Cristo e in noi e continua a dirci che l’ultima parola è l’amore.
Grazie per la tua testimonianza e per quello che ora farai dal cielo per tutti gli educatori e i giovani.»