«Chi perde la propria vita, la trova. Forse è questo l’epitaffio più appropriato per Papa Francesco. Che senza troppo riguardo per la sua salute si è speso, con atti umilissimi e luminosissimi, fino alle ultime ore della sua vita: la visita in carcere il Giovedì Santo e poi il giro in piazza accarezzando i bambini domenica mattina. Fino all’ultimo tra la gente per “sentire l’odore delle pecore”. A cui dava e da cui riceveva vita. Senza calcolo, nell’abbandono fiducioso (cioè pieno di fede) alla vita. Nella logica paradossale che attraversa tutto il Vangelo.
Concretezza è una parola cara a papa Francesco. Concretezza intesa come capacità di te-nere insieme una visione universale con la realtà spicciola della vita. il verticale del rap-porto con Dio e l’orizzontale del rapporto con gli uomini. Il grande incrocio di cui parla il simbolo cristiano per eccellenza.
Di gesti umilissimi e potentissimi che tenevano insieme queste due dimensioni Francesco ne ha fatti molti. Dalla prima uscita a Lampedusa, per dire che il Mediterraneo non può trasformarsi in un cimitero liquido, al bacio – inginocchiato – dei piedi dei signori della guerra del Sud Sudan; dalla preghiera solitaria nella notte del Covid alla corsa affannosa all’ambasciata russa per implorare la pace. E tanti altri ancora (…). Dove il più grande si fa più piccolo, dove colui che serve è colui che dovrebbe stare a tavola (…).
In questo modo Francesco ha voluto tracciare la via per rispondere al problema filosofico e teologico posto da papa Benedetto: la separazione sempre più evidente tra fede e ragione. Una frattura che Benedetto ha vissuto come la fine di un’epoca.
Bergoglio, eletto inaspettatamente Papa a 78 anni, ha indicato che per ricucire questa re-lazione non basta una nuova teoria filosofica o una dottrina imposta con rigore intellettuale e disciplinare. La via invece è invece quella tracciata dal Vangelo: tenere insieme il verticale e l’orizzontale. Pregare sentendosi precari e fragili su questa terra e ricevere da questa apertura la forza di amare il mondo intero. A partire dagli ultimi che sono il punto di rottura delle nostre certezze, delle nostre sicurezze, delle nostre chiusure. Solo se i cristiani saranno concretamente capaci di stare accanto all’umanità sofferente che viene scartata da questa società e nello stesso tempo aperti a ciò che trascende l’esperienza umana potranno contribuire a ricucire quel rapporto oggi smarrito.
Questa ricucitura, quando maturerà, si realizzerà su basi nuove, più avanzate rispetto al passato, perché avrà attraversato l’esperienza esaltante, ma sempre rischiosa, della li-bertà. Come ogni padre sa, la libertà è un passaggio necessario per giungere alla pienezza del disegno della vita (…).
Mauro Magatti, Avvenire, 24 aprile 2025